Il trasporto ferroviario merci è in mezzo al guado, tra PNRR e caro energia
Dal Forum di MercinTreno 2022 FerMerci denuncia: “Aumento del 500% del costo dell’energia rischia di bloccare il settore”. FerCargo invita gli stakeholder all’unità per “rappresentare gli interessi del settore come interessi del Paese”. Treu invita al coraggio nel puntare sull’intermodalità: “Se non ora, quando?”
Opportunità uniche (PNRR), sfide ardue da superare (innovazione tecnologica) e contingenze economiche e geopolitiche sfavorevoli (crisi energetica e guerra in Ucraina).
È questo il mix di variabili, strettamente connesse e condizionanti tra loro, che deciderà il prossimo futuro del trasporto ferroviario delle merci in Italia.
Riuniti nell’ormai tradizionale appuntamento del Forum annuale di MercinTreno, organizzato a Roma nella prestigiosa sede del Parlamentino del CNEL, i principali stakeholder del comparto si sono confrontati sui temi di più stringente attualità, partendo dalla consapevolezza che, se già il presente non è soddisfacente, il percorso per un futuro radioso si preannuncia ricco di ostacoli.
La quota modale delle merci che viaggiano su rotaia è, infatti, ancora ferma al 13% e l’aumento dei costi dell’energia, sommato all’inflazione e alla probabile recessione in arrivo, potrebbe frenare lo sviluppo del settore nei prossimi anni. Uno sviluppo che, peraltro, è stato individuato come necessità irrinunciabile dall’Unione europea per raggiungere l’obiettivo dell’impatto climatico zero entro il 2050.
Proprio per questo, una parte consistente dei fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), è destinata alle infrastrutture e alla digitalizzazione. Ma, paradossalmente, nel breve-medio termine potrebbe incidere negativamente (ritardi e ulteriori colli di bottiglia) anche l’aumento dei lavori di efficientamento, incentivati guardando agli effetti benefici sul lungo periodo.
Pur riconoscendo la complessità di trovare un equilibrio tra le diverse sostenibilità da perseguire (economica, sociale e ambientale), Tiziano Treu, presidente del CNEL, ha aperto i lavori invitando i presenti a ‘cogliere l’attimo’, facendo presente che, comunque, finestra temporale migliore probabilmente non si presenterà a breve.
“Se non ora, quando?”, ha detto l’ex ministro (Trasporti e Navigazione e Lavoro e Previdenza sociale) dei governi di centro-sinistra di fine anni ‘90, argomentando che “già 25 anni fa si parlava di più ferro e meno gomma. Ora è la volta buona”.
Ad avvertire, però, del fatto che il raggiungimento del tanto agognato shift modale è meno probabile di quanto si speri è stato Nicola Zaccheo, presidente dell’Autorità di Regolamentazione dei Trasporti: “I porti rappresentano la prima modalità di connessione con l’estero, per una quota del 59%, seguiti dalla strada per il 30 % e dalla ferrovia per l’11%. Da questo quadro è evidente che lo shift modale da gomma a ferro, richiesto dall’Unione europea, difficilmente potrà essere realizzato senza ricalibrare l’assetto del trasporto merci su rotaia: potenziando i luoghi di connessione dei porti, eliminando i colli di bottiglia esistenti, garantendo condizioni di accesso più eque, e non discriminatorie, alle infrastrutture logistiche portuali e utilizzando anche la leva di tariffe incentivanti”.
Un ulteriore approfondimento sulle criticità del comparto è arrivato dall’intervento di Andrea Giuricin, dell’Università degli Sudi di Milano Bicocca. “Noi sappiamo che buona parte della merce arriva via nave, come è normale che sia soprattutto per i traffici internazionali. Quello che manca, molto spesso è il rail backbone, ovvero quell’infrastruttura del settore ferroviario che potrebbe avere un ruolo maggiore per portare la merce fuori dai porti per poi magari indirizzarla verso la distribuzione su gomma. E questo accade perché spesso mancano le infrastrutture nei porti e nei retroporti. Se confrontiamo la quota del trasporto merci su rotaia nel nostro Paese (13%) con la media della UE (20%) e, soprattutto con Svizzera (35%) e Stati Uniti (46%), ci accorgiamo di quanto l’Italia sia ancora molto indietro. Gli Usa sono un’area unica e ci insegnano che fare treni lunghi e pesanti che viaggiano per migliaia di chilometri porta efficienza”.
Per quanto riguarda l’esempio virtuoso rappresentato da Berna, invece, Marianna Elmi, collaboratrice scientifica dell’Ufficio Federale dei Trasporti, ha spiegato che “il trasferimento modale è una priorità per la Svizzera, tanto da essere sancito nella Costituzione dal 1994 a seguito di un referendum. Una delle ragioni di fondo è sicuramente per l’impatto positivo che il trasporto merci ha sulla sostenibilità ambientale.
Al tempo stesso, però, c’è anche la convinzione che la mobilità su rotaia possa contribuire all’aumento della competitività economica. L’obiettivo molto concreto che il Paese si è dato è quello della riduzione del numero di transiti di veicoli pesanti attraverso le Alpi svizzere dagli 1,4 milioni del 2000 a 650 mila. Per raggiungerlo sono stati messi in atto diversi strumenti: la riforma delle ferrovie, l’accordo bilaterale per i trasporti terrestri con la UE, l’introduzione della tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni e misure infrastrutturali. Tra queste, alcune unicamente in territorio svizzero, altre anche in collaborazione con i Paesi vicini”.
E un altro rappresentante del mondo elvetico, il consigliere di amministrazione di Hupac Bernhard Kunz, ha voluto precisare che i traguardi indicati dalla UE “di una intermodalità al 30% entro il 2030 e del 50% entro il 2050 non sono troppo ambiziosi, e la Svizzera lo dimostra, se si lavora per completare la rete di corridoi TEN-T, per sfruttare la digitalizzazione in modo da diminuire i costi del primo e dell’ultimo miglio e per limitare i costi dell’energia”.
Costi che sono effettivamente impennati, come ha rimarcato il presidente di FerMerci Clemente Carta: “Secondo le stime di RFI nel terzo trimestre del 2022 l’aumento rispetto allo stesso periodo del 2021 è del 173% e del 500% rispetto al dato del 2020. Il trasporto ferroviario merci rischia il blocco e gli aiuti previsti nel Decreto Aiuti bis, approvato la scorsa estate, non sono sufficienti a compensare gli incrementi”.
Una denuncia rilanciata anche da Luigi Legnani, presidente di FerCargo, che ha voluto evidenziare come le imprese ferroviarie siano “energivore di fatto ma non di diritto. Una contraddizione che deve essere risolta perché le imprese ferroviarie, pur essendo i primi consumatori di energia elettrica, non possono accedere ai contributi spettanti alle società energivore”.
Il numero uno di FerCargo, inoltre, ha proposto un “patto per le mercintreno” agli stakeholder: “Dobbiamo riuscire a rappresentare gli interessi del settore come interessi del Paese. Se noi falliamo questo obiettivo perdiamo competitività e la perde, di conseguenza, tutta la nazione”.
Su impulso di FerCargo nasce la confederazione del Cargo Ferroviario
E, proprio in linea con questa strategia di fare blocco comune per rappresentare meglio le istanze del comparto, FerCargo ha annunciato la nascita della confederazione del Cargo Ferroviario, a cui hanno aderito FerCargo, FerCargo Manovra, FerCargo Terminal e Assorotabili.
La Confederazione porterà avanti le istanze di sviluppo del settore ferroviario del trasporto merci che coinvolgono le Imprese Ferroviarie e i costruttori, gli operatori di manovra ferroviaria e i terminalisti: consolidata la liberalizzazione del settore, l’incremento dei volumi trasportati su ferrovia dipenderà dallo sviluppo integrato delle infrastrutture e delle politiche di sostegno del processo di riequilibrio modale nell’ottica degli obiettivi strategici di sostenibilità ambientale ed economica”, si legge nella nota diffusa dall’associazione.