Trasporto intermodale “L’Ue senza strategie”
La denuncia della Corte dei conti comunitaria: “La circolazione combinata delle merci non può competere alla pari con quella su strada a causa di ostacoli normativi e infrastrutturali”.
Più proclami che fatti concreti sull’intermodalità. Non solo in Italia, ma nell’Europa intera. Il motivo? Alla Commissione europea manca una «strategia adeguata» a sviluppare il trasporto combinato delle merci su navi, treni, camion e aerei. Una criticità resa ancora più grave da un quadro normativo e infrastrutturale incerto a livello comunitario, oltre che da politiche nazionali dei Paesi membri non allineate agli obiettivi ambiziosi di Bruxelles. Il tutto rende «semplicemente irrealistico» raggiungere i traguardi fissati dalla Ue per il 2030 e il 2050: raddoppiare il traffico ferroviario e aumentare il ricorso alle vie navigabili interne del 50%.
A denunciarlo è la Corte dei conti europea nella sua recente relazione speciale dedicata al trasporto intermodale in cui avverte che «il cammino della Ue verso la riduzione del trasporto merci su strada è ancora lungo». L’analisi prende a campione diversi Paesi, tra cui l’Italia, che coprono tre flussi commerciali chiave che si sovrappongono alle tratte dei corridoi Ten-T (rete transeuropea dei trasporti): il corridoio Reno-Alpi (che si estende dal Belgio e dai Paesi Bassi all’Italia), il corridoio Mare del Nord-Baltico (tra Polonia e Germania) e i corridoi Atlantico e Mediterraneo (che collegano la Germania alla Spagna attraverso la Francia).
I revisori contabili europei ricordano che «tra il 2014 e il 2020 l’Ue ha fornito oltre 1,1 miliardi di euro a sostegno di progetti di intermodalità». Tuttavia, «il trasporto intermodale delle merci ancora oggi non può competere alla pari con il trasporto su strada a causa di ostacoli normativi e infrastrutturali». In media, e in assenza di misure di sostegno, «il trasporto intermodale delle merci è più costoso del 56% rispetto all’alternativa solo stradale». A giudizio della Corte, inoltre, «alcune norme dell’Ue riducono l’attrattività del trasporto intermodale». L’attuale versione della direttiva sui trasporti combinati è «obsoleta (risale al 1992, ndr) e inefficace». Ad esempio, prevede l’obbligo di un documento cartaceo timbrato dalle autorità ferroviarie o portuali per tutto il tragitto, invece di un flusso di lavoro digitalizzato. Vari tentativi di revisione della direttiva da parte della Commissione non hanno trovato il parere favorevole degli stati membri.
Secondo la Corte devono poi essere intraprese azioni legislative che consentano alla ferrovia, così come ad altre modalità di trasporto, di competere con la gomma visto che ancora oggi i camion continuano a movimentare circa il 77% delle merci in Europa. Quota che paradossalmente continua ad aumentare, invece di diminuire.
Tutto questo nonostante, nel suo ultimo documento strategico che affronta le sfide legate al clima e all’ambiente, “Il Green Deal europeo” (2019), la Commissione abbia chiesto una riduzione ancora più marcata delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dai trasporti (pari al 90 % entro il 2050), in modo che l’economia dell’Ue diventi climaticamente neutra entro il 2050, in linea con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Successivamente, la Commissione ha pubblicato la propria “Strategia per una mobilità sostenibile e intelligente” (2020) in cui si auspicava un sostanziale trasferimento modale alla ferrovia, alle vie navigabili interne o al trasporto marittimo a corto raggio.
Ma niente di tutto questo è accaduto. Secondo la Corte, le cause sono riconducibili al fatto che la Commissione non abbia concordato con gli Stati membri né i «valori obiettivo» dell’Ue né le «conseguenti implicazioni» per questi ultimi, che «vengono decisi sulla base delle analisi dei singoli stati e delle considerazioni politiche». Nei casi in cui i valori-obiettivo dell’Ue e degli Stati membri erano comparabili (quattro degli Stati membri del campione, ossia Germania, Spagna, Francia e Italia), la Corte segnala che quelli nazionali erano ancora più ambiziosi di quelli della Commissione in termini di tasso di crescita annuale richiesto. Inoltre, due degli Stati membri sottoposti ad audit, ovvero Germania e Paesi Bassi, per i quali le vie navigabili interne erano le più importanti, hanno fissato obiettivi anche in relazione ad esse. Ma nessuno degli Stati membri, tranne la Polonia, ha fissato valori-obiettivo per la quota di trasporto intermodale La Corte dei conti europea segnala anche i ritardi accumulati dai Paesi membri nel rendere le infrastrutture conformi ai requisiti tecnici stabiliti dalla normativa Ue. Ad esempio, nello sforzo di competere con il trasporto su strada, utilizzare treni più lunghi che raggiungano la lunghezza standard europea di 740 metri potrebbe essere uno dei miglioramenti più convenienti dal punto di vista dei costi. Il problema è che, però, questi treni possono in teoria essere utilizzati solo sulla metà dei corridoi centrali della rete transeuropea dei trasporti (Ten-T). Inoltre, la mancanza di informazioni sulle capacità della rete e dei terminali intermodali impedisce agli operatori logistici di offrire buone soluzioni di trasporto intermodale ai propri clienti. La Corte conclude che la proposta di revisione del regolamento Ten-T può migliorare la situazione visto che, così com’è, la rete di trasporto merci dell’Ue non è ancora adatta all’intermodalità.
La Repubblica Affari e Finanza – Vito De Ceglia
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